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mercoledì 21 maggio 2008


La Cina per battere la fame compra terreni in tutto il mondo

Prima abbiamo visto l' invasione del "made in China", dall' abbigliamento ai computer. Da qualche anno è subentrata una seconda fase: le multinazionali cinesi comprano aziende occidentali, il Tesoro di Pechino interviene nei salvataggi di banche americane ed europee diventandone azionista. Ora parte il terzo stadio dell' espansione planetaria. La Cina va a caccia di grandi terreni agricoli da comprare in tutto il mondo, per garantire che potrà sfamare la sua popolazione anche in caso di iperinflazione e crisi dei raccolti. Dall' America latina all' Africa, dall' Asia all' Oceania, la nuova strategia punta a risolvere uno dei più gravi problemi di lungo periodo: la sicurezza alimentare. Il presidente Hu Jintao e il premier Wen Jiabao hanno registrato con allarme i disordini scoppiati in molti paesi vicini (dalle Filippine all' Indonesia) per la penuria di riso. Nella stessa Cina l' inflazione dei generi alimentari è ai massimi dagli anni Ottanta, con punte del 50% per la carne di maiale. Il carovita è al primo posto fra le preoccupazioni della popolazione - ben più del Tibet o delle Olimpiadi - e può far vacillare la stabilità del regime. La Repubblica Popolare non rischia certo le carestie che la affliggevano ai tempi di Mao Zedong. Oggi è una superpotenza anche nell' agricoltura. E' il primo produttore mondiale di grano, riso, patate, prodotti ortofrutticoli. Ma i grandi numeri dei raccolti nascondono uno squilibrio progressivo. I consumi interni esplodono, con il boom economico una quota crescente di famiglie può permettersi una dieta alimentare sempre più ricca. Nel 1985 i cinesi consumavano in media 20 chili di carne a testa in un anno. Nel 2000 il consumo di carne era balzato a 50 chili pro capite. Tra dieci anni secondo la Fao i cinesi mangeranno più di 70 chili di carne a testa. L' allevamento del bestiame assorbe una quantità sempre maggiore di cereali. In molte commodities agricole - dal grano al riso - la Cina ha smesso di esportare; per la soya è diventata così dipendente dall' estero che importa già il 60% del suo fabbisogno. Nel lungo termine non può farcela da sola. Entro le frontiere della Repubblica Popolare vive oggi il 21% della popolazione mondiale ma la sua agricoltura ha solo il 9% delle terre arabili del pianeta. La scarsità di superficie coltivabile nasconde un altro vincolo, perfino più drammatico: la mancanza di acqua, aggravata da inquinamento e desertificazione. La Cina ha solo l' 8% delle riserve di acqua potabile del pianeta; un terzo della superficie nazionale è fatta di deserti e le zone aride continuano a "rubare" territorio di anno in anno. Di qui il piano per partire alla conquista dei "granai del pianeta". E' una direttiva preparata dal ministero dell' Agricoltura: Pechino spinge le grandi società agroalimentari cinesi a investire nell' acquisizione di superfici coltivabili in tutto il mondo. Potranno contare sul sostegno dello Stato, finanziario e diplomatico, per superare le resistenze dei governi stranieri e accaparrarsi terreni agricoli. Contatti politici sono in corso con il presidente Lula per spianare la strada a maxiacquisizioni di terre in Brasile. La nuova strategia si proietta su tutti i continenti, gli obiettivi potenziali sono tanti. Il Brasile e l' Argentina per soya, zucchero, mais. La Nigeria per miglio, semi e arachidi da olio. Indonesia e Malesia per riso, legname, palme da olio per i biocarburanti. Australia e Nuova Zelanda per gli allevamenti di bestiame e la produzione di latte. Gli uffici commerciali delle ambasciate cinesi all' estero hanno mappe dettagliate dei raccolti più importanti per ogni paese. Dal Messico all' Uganda alla Birmania, la Cina è pronta a subentrare ai latifondisti pubblici e privati. Da tempo le autorità di Pechino studiano i precedenti. Alcuni produttori di petrolio come l' Arabia saudita e la Libia hanno avviato contatti analoghi (per esempio con l' Ucraina) proponendo uno scambio inedito: contratti di fornitura di petrolio in cambio di terre agricole; la sicurezza energetica come contropartita della sicurezza alimentare. La decisione cinese è stata accelerata dagli ultimi eventi. Da una parte i contraccolpi della crisi del riso: tre nazioni asiatiche - India Tailandia e Vietnam - hanno imposto il contingentamento delle loro esportazioni. Un gesto che Pechino considera allarmante. Significa che non basta avere il più grosso attivo commerciale del pianeta per "fare la spesa all' estero" in caso di bisogno; non si può dare per scontato il libero accesso ai mercati mondiali; in una crisi l' offerta di alimenti può prosciugarsi all' improvviso. L' altro fenomeno che preoccupa i leader cinesi è la "finanziarizzazione" dei mercati agricoli. Gli hedge fund sono entrati in forze nella speculazione sui futures dei raccolti. Nel solo mese di marzo sul Chicago Stock Exchange si sono scambiati contratti futures per 21 milioni di tonnellate di soya: più del doppio dell' anno scorso. Come per il petrolio, anche per le commodities agricole ormai agiscono potenti fenomeni di anticipazione. La finanza scommette sugli scenari di aumenti dei consumi mondiali, e attraverso il gioco sui futures le previsioni al 2020 fanno schizzare al rialzo i prezzi del 2008. La "bolla" delle anticipazioni è un meccanismo infernale dal quale la Cina vuole riuscire a ripararsi, mettendo al sicuro dalla spirale speculativa i raccolti dei prossimi anni. Il modo migliore è allungare le mani su nuove terre in America latina, nel sudest asiatico, in Africa, diversificando le produzioni e l' esposizione ai rischi climatici. Il principale ostacolo da superare sono le resistenze politiche dei governi stranieri su un tema strategico come l' autosufficienza alimentare. Ma Pechino ha argomenti persuasivi. Il modello è un accordo di lungo termine appena firmato con il Congo, l' ultimo di una serie di partner africani conquistati dalla Repubblica Popolare. I cinesi costruiranno strade, ferrovie, aeroporti, ospedali; in cambio intere miniere di rame e cobalto sono di fatto ipotecate. Migliaia di operai cinesi sbarcheranno in Congo per portarvi la promessa di una modernizzazione che non riuscì agli ex padroni coloniali europei. E' il patto che la Cina propone a molte nazioni emergenti per avere le loro materie prime. Poche possono permettersi di rifiutare l' offerta. -

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