Aranciu

ATTENTION


This is a non commercial, non professional blog. All images taken from the Internet are assumed to be in the public domain. In the event that there is still a problem or error with copyrighted material, the break of the copyright is unintentional and the material will be removed immediately upon request (post comment or e-mail).


sabato 30 giugno 2007


L'innocenza della natura e il destino dell'uomo


di Galimberti



Ospiti come siamo della tradizione giudaico-cristiana, pensiamo che l'uomo abbia il potere, se non addirittura il dovere, di dominare la natura. Questa tradizione, infatti, pensa la natura come l'effetto di una volontà, della volontà di Dio che l'ha creata e dell'uomo a cui è stata consegnata. Così concepita, la natura non è più come pensavano i greci, espressione dell'ordine immutabile della necessità, ma dominio della volontà. Per ordine divino, essa dipende dall'uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio.Questa visione del mondo comporta che l'indagine sulla natura non ha più in vista la conoscenza delle sue leggi immutabili, a cui si rivolgeva la scienza e la filosofia greca, ma l'intenzione della progettualità umana che, come vuole il programma di Bacone, "scientia est potentia", conosce soprattutto per dominare.Per il Greco, invece, sotto il sigillo della necessità la natura mostra il suo ciclo crudele e innocente di vita e di morte, dove l'una è concessa a condizione che l'altra accada. La morte, infatti, è un destino che tocca i viventi perché altre vite possano vivere. Come momento di scansione del ritmo della vita, la morte è naturale quanto la vita stessa. Ciò non significa che ogni vivente, e in particolare l'uomo, si consegni rassegnato alla morte. In quanto espressione di vita, ogni vivente resiste, per quanto può, alla morte, e pretende per sé la pienezza del vivere.Salvatore Natoli, che meglio di altri ha colto nella crudeltà innocente della natura la condizione tragica dell'uomo, scrive in I nuovi pagani (il Saggiatore): "Si tratta di una crudeltà che non è mai delitto, poiché ogni distruzione è generazione, e la natura crea nel travaglio. Soprattutto, la natura dissipa perché qualcosa di riuscito nasca, e ciò che riesce è frutto di una selezione inavvertita, di un caso. Ma c'è di più. Di ciò che riesce non si può mai dire che sia il meglio di quello che sarebbe potuto accadere, e, per converso, ciò che fallisce non ha per ciò stesso minor valore di ciò che è riuscito. Il successo non ratifica la bontà di un evento, allo stesso modo in cui il fallimento non è un'obiezione con- tro quello che sarebbe potuto accadere".La natura spreca senza rimpianto. Ciò che deve perire non può essere salvato, perché altre vite urgono. La natura non indugia su ciò che muore, ma sulla bellezza di ciò che vive, anche se non dura. È vero, questa bellezza scaturisce da uno sterminato dolore, perché quello che vive deve la sua vita a molte morti. Ma siccome questa crudeltà è condizione di vita, la crudeltà, la morte, il dolore non sono per i Greci un'obiezione alla vita, non sono, come per la tradizione giudaico-cristiana, qualcosa di collegato a una colpa originaria, e perciò non cadono sotto il dominio della morale, ma mantengono la loro innocenza.In quanto innocente, la crudeltà della natura, di cui sofferenza e morte sono espressioni, non ha bisogno di una redenzione, di un altro mondo che riscatti questo mondo. Per questo il Greco non chiede la vita eterna, e, per avere preso sul serio la sua mortalità iscritta nella legge di natura, chiede una vita lunga e il più felice possibile.La morte non ha quindi per il Greco un effetto malinconico-depressivo, perché che la natura faccia nascere per morire non è un "inganno", come invece pensavano i romantici, Schopenhauer e Leopardi sopra tutti, ma una necessità, all'interno della quale ogni vivente si attiva per procrastinare la sua vita, o comunque per viverla in tutta la sua pienezza.Sottoposto al fato, al "già detto", come vuole il significato della parola "fatum", l'uomo ha anche la possibilità di giocarsi il suo destino attraverso la vita che condiziona il suo futuro. Il messaggio dell'oracolo di Delfi, "Conosci te stesso", infatti, non ha tanto una valenza psicologica, quanto il significato di un invito a prendere consapevolezza che il destino non è solo qualcosa che proviene dall'esterno, ma anche qualcosa che l'uomo si costruisce nella modalità di condurre la sua vita, per cui il modo con cui abbiamo vissuto "destina" il nostro futuro. Ciò significa che l'uomo è sì sottoposto al destino a cui la natura destina ogni vivente, ma, all'interno di questo destino, c'è per l'uomo uno spazio espressivo.In questo l'uomo gioca la sua libertà per il tempo che la natura glielo concede, produce il suo senso, un'apertura che però non può nascondersi la morte che è l'implosione di ogni senso, di qui l'essenza tragica dell'esistenza umana, che il Cristianesimo non accetta, invitando alla fede e alla speranza nella vita eterna.

Nessun commento:




Informazioni personali

Palermo, Italy
Non amo avere rotti i coglioni...e ...e detesto chi non li ha....